Il 4 Marzo 2008, a Salerno nella Cappella del Santo Rosario, il professor Don Mauro Gagliardi fu relatore di un convegno sul difficile tema del Magistero della Chiesa
Il professor Gagliardi è ordinario di teologia dogmatica presso il Pontificio Ateneo "Regina Apostolorum" di Roma.
Riportiamo integralmente la sua relazione a nostro parere preziosa per comprendre un argomento che i più non conoscono
Introduzione
Prima di tutto diamo uno sguardo al contesto: oggi se ci guardiamo attorno notiamo che c’è una certa incertezza o genericità sul concetto di magistero della Chiesa anche da parte di noi cattolici.
Un cattolico saprebbe rispondere alla domanda: che cos’è il magistero della Chiesa? Saprebbe darne una definizione anche non precisa, ma almeno attinente? Tanti cattolici preparati e colti sì, ma il cosiddetto “cattolico medio” forse no. Dunque a quest’ignoranza sono connessi, come ad ogni ignoranza, dei rischi. Nel caso dell’ignoranza su cos’è il magistero della Chiesa sono connessi almeno tre rischi:
1. la possibilità di una sorta di massimalismo magisteriale (tutto ciò che il papa dice ha uguale valore), e a questo si collega qualche volta una forma di fideismo;
2. il disinteresse o la relativizzazione di ciò che il magistero insegna, siccome non si ha un concetto chiaro di cosa sia il magistero;
3. la strumentalizzazione: questa non viene fatta solo da tanti teologi (che per professione sanno benissimo cos’è il magistero e a volte lo strumentalizzano citandone solo alcune parti e non altre, oppure interpretando il magistero facendogli dire l’esatto contrario) ma possiamo trovare anche nella prassi dell’insegnamento e nella prassi pastorale una storpiatura, una forzatura o un concentrarsi su punti di dettaglio, dimenticandone altri.
La parola latina magisterium indica l’azione del magister, e questo nel latino classico valeva non solo per l’insegnamento ma per qualsiasi forma di arte (maestro della nave, maestro fabbro, maestro di un’arte o di un mestiere). Nel Medioevo la parola magister comincia ad essere usata in senso più stretto riferita all’insegnamento: ad esempio Pietro Lombardo è il magister sententiarum, il “maestro delle sentenze”. Nell’epoca moderna, almeno in ambito cattolico, la parola magisterium viene ormai applicata in maniera specifica all’ufficio di insegnare nella Chiesa, quello che viene chiamato il munus docendi, la potestà d’insegnamento dei pastori della Chiesa. E la parola magisterium, sebbene faccia parte del latino classico, nel magistero della Chiesa entra in maniera ufficiale di recente: il primo ingresso lo troviamo nella Commissum divinitus di Gregorio XVI, testo del 1835.
In essa si dice che il magistero è l’autorità d’insegnamento della Chiesa fondata sull’ordinazione sacramentale. Questo punto è qualificante: il munus docendi è indissolubilmente legato al sacramento dell’ordine episcopale.
Pochi anni dopo, nel 1863, Pio IX, in un’importantissima lettera inviata al vescovo di Monaco intitolata Tuas libenter, applica quattro aggettivi alla parola magisterium: infallibile, authenticum, ordinarium, universale. Queste quattro parole, oggi, nel linguaggio teologico tecnico vengono usate in maniera diversa rispetto a come le usava Pio IX nella Tuas libenter, ma ciò che importa è che sia stato lui ad aver canonizzato l’uso di queste aggettivazioni del termine, che sono aggettivazioni tecniche.
Infine, altro dato molto importante, nel 1870, la Pastor Aeternus, costituzione dogmatica del Concilio Vaticano I, usa la parola magisterium addirittura all’interno del capitolo quarto, anche nel titolo, il capitolo dove c’è la definizione dogmatica dell’infallibilità del Romano Pontefice (De Romani Pontificis infallibili magisterio). È rilevante il fatto che una parola che ha solo trentacinque anni di vita per quel che riguarda l’uso che la Chiesa ne fa, dopo così breve tempo venga usata in una definizione dogmatica e conciliare.
Vediamo ora la base biblica. Il fatto che la Chiesa proponga un insegnamento ufficiale non è invenzione dei vescovi o di qualche papa, ma è fondato sulla Rivelazione biblica, soprattutto sul Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento il magister in senso proprio è Gesù Cristo. “Mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono” (Gv 13,13). Dunque Gesù si è autoproclamato magister. Tuttavia il Nuovo Testamento indica anche che Cristo costituisce degli Apostoli e li delega ad insegnare nel mondo il suo Vangelo. Due versetti tra i tanti sono i più importanti rispetto a questo:
“Andate dunque, ammaestrate tutte le genti” (Mt 28,19)
“Chi ascolta voi ascolta me” (Lc 10,16).
Questo dato essenziale, che Cristo costituisca i Dodici e dica loro di insegnare, incontra però altri due punti fermi nel Nuovo Testamento:
1. La sottolineatura molto forte nel Nuovo Testamento che esiste una Parola vera e una sana dottrina, che devono essere custodite e portate agli altri. Nella Lettera agli Efesini San Paolo dice: “Il Vangelo è la Parola della Verità” e nella Lettera a Timoteo chiama la dottrina apostolica la “sana dottrina”. Quindi dal Cristo che è la Verità (“Io sono la via, la verità e la vita” – Gv 14,6) si passa alla verità della dottrina degli Apostoli, la Verità che è la persona di Cristo viene veicolata attraverso la dottrina degli Apostoli che perciò è “sana dottrina”, è sana perché è bella nella misura in cui è vera. Questa sana dottrina è custodita nella Chiesa: ancora la Prima Lettera di San Paolo a Timoteo dice “La Chiesa è la colonna e il sostegno della Verità”. San Paolo, nel primo capitolo della Lettera a Tito dice che il Vescovo dev’essere attaccato alla dottrina sicura secondo l’insegnamento trasmesso perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina; nel secondo capitolo della stessa lettera dice “Tu insegna ciò che è secondo la sana dottrina”
2. La struttura gerarchica della Chiesa: da Cristo il mandato passa agli Apostoli, dagli Apostoli il mandato passa ai primi collaboratori che sono i vescovi. Subito dopo la resurrezione di Gesù, il capitolo secondo degli Atti degli Apostoli parla della “dottrina degli Apostoli”: dunque la dottrina di Cristo proprio all’inizio degli Atti è diventata “dottrina degli Apostoli”. Gli Apostoli sono i canali della vera dottrina di Cristo. San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi dice “Che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Sono dei ministri attraverso i quali siete venuti alla fede”. La “dottrina degli Apostoli” non significa “inventata dagli Apostoli”, ma che gli Apostoli sono i ministri della Verità di Cristo, dunque la loro dottrina è la dottrina del Maestro. Gli Apostoli sono i testimoni oculari del Signore, la dottrina apostolica contiene la loro testimonianza oculare ed è il fondamento della fede della Chiesa. Cristo ha insegnato la Verità a tutta quanta la Chiesa e tuttavia il Signore non fa una comunicazione soprannaturale diretta e immediata a ciascuno dei battezzati, ma si serve della mediazione dell’intelletto. Prima di tutto il Signore si è servito della mediazione degli Apostoli, poi per tutte le altre epoche si serve della mediazione dei vescovi. Il Nuovo Testamento insegna che gli Apostoli costituiscono i vescovi come loro successori nella guida delle varie Chiese che venivano fondate e li costituiscono con il gesto dell’imposizione delle mani, e i vescovi hanno proprio il compito di custodire il deposito della fede ricevuto dagli Apostoli che li hanno ordinati. Molto significativo l’addio che San Paolo fa agli anziani della Chiesa di Efeso (At 20): “Badate dunque a voi stessi, badate al gregge di cui lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi per pascere la Chiesa di Dio, acquistata da lui col proprio sangue. So infatti che, dopo la mia partenza, entreranno tra voi dei lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche in mezzo a voi si leveranno su degli uomini a insegnare cose perverse, per trascinarsi dietro i discepoli”. Dunque San Paolo sa che sorgeranno sempre nella Chiesa coloro che “insegnano cose perverse”, persino tra i vescovi: nella storia vi sono anche vescovi eretici. Perciò dice ai vescovi di attenersi strettamente al deposito della fede che egli ha trasmesso loro. Il passaggio del munus docendi dagli Apostoli ai vescovi avviene con l’imposizione delle mani, che è l’ordinazione sacramentale. Tuttavia bisogna anche dire che c’è una differenza tra gli Apostoli e i vescovi, pur nella continuità. I vescovi non succedono agli Apostoli in tutto: gli Apostoli sono i testimoni oculari di Cristo mentre i vescovi non lo sono; gli Apostoli avevano il carisma dell’ispirazione biblica, le lettere pastorali che scrivevano gli Apostoli si trovano nella Bibbia e sono Rivelazione divina. Compito dei vescovi, come successori legittimi degli Apostoli, è dunque quello di ascoltare il deposito apostolico, custodirlo ed esporlo con fedeltà.
Qual è dunque, alla luce di tutto, ciò la funzione specifica del magistero? La Dei Verbum del Concilio Vaticano II dice al capitolo 10 che il magistero della Chiesa ha il compito di interpretare autenticamente la Parola di Dio. “Autenticamente” nel linguaggio tecnico significa non solo “con verità”, ma “con autorità” (authenticum si usa nella teologia per indicare l’autorità apostolica). Inoltre, quando sentiamo l’espressione “Parola di Dio”, ci viene facilmente in mente la Sacra Scrittura, e certamente la Bibbia è Parola di Dio, ma non dobbiamo dimenticare che il concetto cattolico di “Parola di Dio” è la Sacra Scrittura e la tradizione orale degli Apostoli: il Concilio di Trento dice che la Parola di Dio si trova in libris scriptis et sine scripto traditionibus. Prendendo dunque questo insieme di Scrittura e Tradizione, il magistero ha il compito specifico di interpretare con autorità la Parola di Dio. La Dei Verbum, capitolo 10, in più precisa che il magistero non è al di sopra della Parola di Dio, ma ad essa serve, insegnando solo quanto in essa vi è trasmesso, cioè solo quanto si trova nella Scrittura e nella Tradizione apostolica. La Dei Verbum sintetizza i compiti del magistero nella bella formula latina pie audit, sancte custodit, fideliter exponit. Il testo conclude:
“Per questo la Scrittura, la Tradizione e il magistero sono realtà talmente interconnesse da non poter sussistere l’uno senza l’altro”. Questo è chiarissimo: il magistero senza la Parola di Dio (Scrittura e Tradizione) non serve assolutamente a nulla, perché il suo scopo è appunto la fedele trasmissione della Parola di Dio, ma d’altro canto essa senza il magistero non può essere trasmessa (tradita), perché mancherebbe l’autorità che la custodisce e la interpreta. Il magistero garantisce infatti la vitalità della trasmissione della Parola di Dio in tutte le epoche.
Questo implica fra i compiti del Magistero un approfondimento continuo della Rivelazione, fatto non semplicemente con erudizione teologica o con la sapienza umana, ma alla luce dello Spirito Santo di cui parlava Gesù nel capitolo 16 di Giovanni: “Egli v’insegnerà tutta la Verità”. Questo non vuol dire che dopo Cristo ci sono altre verità da scoprire, ma vuol dire che quella Verità data da Cristo noi la comprendiamo sempre più profondamente e in maniera progressiva, e lo Spirito Santo ci aiuta proprio in questa direzione. La storicità di questo processo di comprensione progressiva operato dal magistero implica altre due cose che enuncio senza approfondire:
1. La perfettibilità del linguaggio magisteriale e delle formule: il magistero si esprime con proprietà nell’insegnare la verità, ma il modo di esporre la dottrina può e deve essere sempre migliorato nella sua formulazione.
2. Il progresso contenutistico del magistero, che cresce, non perché si aggiungano altre rivelazioni pubbliche, ma perché cresce la comprensione della Rivelazione.
Quali sono gli effetti dell’esercizio del magistero sulla vita della Chiesa? Naturalmente, grazie all’esercizio del magistero, la comunità dei fedeli rimane sempre ciò che essa è, permane immutabilmente nella sua identità, cioè non subisce cambiamenti sostanziali. E’ chiaro che la Chiesa nei suoi aspetti secondari subisce tanti cambiamenti, ma nell’essenziale rimane sempre identica a se stessa, e questo non rappresenta affatto una cristallizzazione, un’incapacità di evoluzione o peggio un’involuzione, ma al contrario, il fatto che la Chiesa pur mutando in aspetti secondari rimanga in ogni epoca se stessa, dice che la Chiesa rimane giovane in tutte le epoche.
Anche il magistero ha un ruolo importante nella vita della Chiesa, perché illumina le coscienze, innanzitutto le coscienze dei fedeli, ma poi anche quelle di tutti gli altri uomini di buona volontà, e soprattutto è utilissimo il lavoro del magistero, soprattutto quando sorgono nuovi scottanti “casi morali” (in ambito sociale, sessuale, bioetica ecc.), perché nell’evolvere della storia spuntano sempre nuove problematiche e il magistero della Chiesa vi risponde in maniera autentica e autorevole, e soprattutto seda le controversie.
Molto importante sottolineare che a volte si rimarca la differenza tra un Islam moderato e un Islam integralista e molti sostengono che il vero Islam è quello moderato. Purtroppo, questa frase non può dirla nessuno, perché il vero Islam non c’è, perché la dottrina islamica non prevede un insegnamento magisteriale o un’autorità interpretativa del Corano che valga per gli altri musulmani.
Perciò tutte le interpretazioni, da quella più spirituale a quella più integralista, hanno uguale valore.
Lo stesso problema si presenta nel protestantesimo (il libero esame della Sacra Scrittura). Naturalmente questo comporta una frammentazione enorme: quot capita, tot sententiae. Mentre la Chiesa Cattolica in duemila anni si è mantenuta unita, i Protestanti in meno di cinquecento anni di vita, si sono divisi in più di tremila denominazioni.
Il magistero è un compito di carità, non di costrizione: correggere chi sbaglia è una delle opere di misericordia spirituale, e il magistero, oltre all’aspetto positivo di approfondimento e di custodia, ha anche quello di correzione che mantiene la Chiesa unita.
Le forme di esercizio del magistero nella Chiesa Cattolica *
Con l’ordinazione sacramentale, i vescovi della Chiesa cattolica ricevono la pienezza del ministero sacerdotale, che la teologia articola in munus docendi, regendi et sanctificandi (potere/ministero di insegnare, di governare e di santificare). Il magistero nella Chiesa cattolica è l’espressione dell’esercizio da parte del collegio episcopale – il quale sussiste sempre cum Petro ed sub Petro – dell’autorità di insegnamento dottrinale in materia della fede e dei costumi rivelati, nonché di quanto è intimamente connesso alla rivelazione.
In concreto, il magistero viene esercitato in modi distinti e quindi anche con una gradazione nell’impegno dell’autorità magisteriale. È nostro compito qui offrire una descrizione molto sintetica di queste distinte forme di esercizio del magistero ecclesiale.
Due modalità fondamentali di magistero, un solo soggetto magisteriale
Una prima distinzione utile è quella tra un esercizio «solenne o straordinario» del magistero e l’esercizio «non solenne o ordinario». Mediante la prima espressione, si fa riferimento a decisioni e dottrine particolarmente importanti, insegnate in forma definitiva; mentre con la seconda, si allude all’esercizio continuativo del munus docendi, senza che gli insegnamenti proposti implichino di per sé l’infallibilità e la definitività.
Per procedere con ordine, dobbiamo ricordare innanzitutto che nella Chiesa cattolica vi è un solo soggetto di magistero, vale a dire il collegio dei vescovi in unione e sotto il successore di Pietro (cf. LG 22). Quest’unico soggetto può agire tuttavia in due modi distinti: o con una decisione manifestamente collegiale, oppure nella persona del capo del collegio episcopale, il Papa, che nel pronunciarsi a livello magisteriale racchiude in sé anche l’intero collegio dei vescovi. In ogni caso, dunque, è sempre l’unico soggetto ad insegnare nella Chiesa, ma secondo una duplice modalità.
Questa annotazione consente ora più agevolmente di ordinare le distinte forme di magistero all’interno della distinzione già proposta tra magistero «straordinario/solenne» e «ordinario/non solenne».
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